ALICE CORBETTA: alchimia di una meditazione creativa
di CARLO GIORGETTI
Il lavoro di Alice Corbetta non si propone come un teorema estetico il cui risultato è definitivo, sicuro, invariabile. Come tutti i processi creativi di sperimentazione esso è al contrario idea fluida e possibile, che attraverso complesse fasi di lavorazione trova una sua espressione finale con la quale in ultimo si consegna al pubblico.
L’artista però non lavora per un pubblico ideale o idealizzato, ma rende il suo lavoro accessibile a chiunque guardando le sue opere sappia cogliere almeno intuitivamente il lavoro e dunque il messaggio di cui esse sono espressione.
In anni passati Alice ha lavorato nel campo del Tessile e della Moda, poi recuperati i suoi trascorsi all’Accademia di Brera a Milano, affascinata dal lavoro di alcuni grandi artisti (da Antony Tapiès ad Alberto Burri, solo per citarne due tra i più amati) ha iniziato il suo percorso artistico all’insegna di un prezioso astrattismo materico.
I suoi lavori non hanno in genere titolo, ma sono raggruppati in serie denominate da un sostantivo che le rappresenta. L’ultima serie chiamata “Stracci” (titolo originale Fetzen in tedesco) raggruppa opere che sono una lo sviluppo e la conseguenza dell’altra.
Sono singolarmente senza titolo perché l’autrice vuole evitare di “contaminare” l’opera con altre indicazioni, in questo caso linguistiche o letterarie, che possono distogliere l’attenzione dal senso più interiore dell’opera. Ma sono senza titolo anche perché questi sono lavori che non hanno bisogno di definirsi didascalicamente. Sono supporti artistici utili a stimolare l’interpretazione personale di ognuno.
Se da un lato potrebbe sembrare un modo facile per scaricare sul pubblico la responsabilità del valore dei contenuti dell’opera, in realtà Alice Corbetta si assume tutte le responsabilità convinta che questo modo sia utile come aspetto metodologico per tentare di veicolare il senso pedagogico e poi l’attivazione di un principio estetico in chiunque si fermi a guardare una sua opera.
Se poi questo guardare diviene una scoperta della materia, di come sia stata trasformata, adattata, manipolata, enfatizzata e domata, allora l’artista sente di aver raggiunto almeno uno degli scopi che il fare arte si propone.
I tempi di lavorazione sono molto lunghi ed ogni fase è scandita da azioni e gesti che ripetono, attualizzandoli, quelli che per secoli si sono ripetuti nei laboratori degli alchimisti e nelle botteghe degli artigiani e degli artisti. Questi gesti, queste azioni metodiche, lente, precise, scandite da un tempo interiore, nel caso della nostra artista diventano un training personalissimo, una sorta di meditazione attiva.
Nella loro fissa ripetitività traducono visivamente i “ritmi interiori” dell’autrice. Ogni gesto è pensiero. Ogni passaggio deve essere seguito senza poter forzare la durata dell’operazione che procede sedimentandosi lentamente strato per strato. In una sorta di trance operativa Alice, mescola, impasta, scalda, fonde, scioglie, addensa, stende, liscia, rifinisce, in una dimensione di estraniamento, tutta assorbita dal lavoro che ad ogni passaggio si palesa via via nella sua forma finale.
Opere dunque pensate e pianificate se non fosse che durante la realizzazione la magia della materia che si fa docile nelle mani dall’artista porta inevitabilmente a dei “fuori programma”. A scoperte e casualità che subito, e con perizia, vengono sfruttate dall’artista e assorbite nel suo variegato bagaglio di conoscenze e sortilegi tecnici, chimici, cromatici. In questa sua ultima serie il materiale di supporto è dato dalla semplice e povera tela di juta. La tela dei sacchi di granaglie è il canovaccio di base su cui Alice interviene con il recupero e la personalizzazione di tecniche antiche, rare, desuete, preziose, lente.
La trama e l’ordito della tela vengono stabilizzati ed irrigiditi con stesure di materiali spesso prodotti dall’artista stessa o da lei miscelati in nuove formule, perché come un alchimista Alice ha ormai i suoi segreti di bottega, ed una sapienza data da lunghe ed estenuanti prove e tentativi, tutti tesi a definire il percorso più efficace finalizzato alla resa estetica dell’opera. E’ un vero preziosismo ad esempio utilizzare il Bolo Nero d’Armenia1 (che richiede lavorazioni precise, lunghe e costose, la colla di coniglio o i silicati alluminio, etc…) quando altre sostanze avrebbero potuto sostituirlo, ma non si tratta solo di scelta di un materiale atipico esso è necessario perché è in grado di dare un nero bituminoso vellutato e di rara intensità. Non solo, ma è l’unico supporto efficace per la foglia metallica nella tecnica della doratura al quarzo.
In realtà il Bolo Nero d’Armenia si utilizza per l’argentatura con foglia di argento (sia vera che d’imitazione) ma Alice lo impiega per la foglia oro sottoponendola poi ad ulteriori manipolazioni, anche quelle suoi segreti. Fattori come temperatura e umidità dell’ambiente di lavoro influiscono fortemente sui tempi di lavorazione e asciugatura del Bolo e tra una stesura e l’altra può passare anche più di un giorno per permettere la completa essiccazione di ogni mano stesa e a volte l’asciugatura di ampie superfici è molto lenta.
Nelle opere di Alice spazi riflettenti la luce sono affidati agli strati metallici che interrompono la superficie. Anche in questo caso certi effetti di ossidazione vengono ottenuti dall’artista attraverso attivatori di origine naturale, come l’aceto, certo più lenti di quelli chimici. Ma è proprio questo che Alice intende ottenere, un’arte in cui lo scorrere inesorabile del tempo concorra a produrre, attraverso le piccole ma costanti variazioni che si manifestano per reazione chimica, lavori che possano contenere nella loro cronologia un po’ del vissuto di chi li ha prodotti.
Perché Alice realizza attraverso queste opere una introspettiva azione magico-propiziatoria fornendo ad ognuna una energia latente che aspetta solo di essere sollecitata. Questi lavori sono Yantra.2
Anche quando l’artista utilizza come supporto di base una tavola di legno o di multistrato e cambia il registro cromatico ad esempio utilizzando come base il Bolo Rosso d’Armenia (ancora un materiale prezioso ed inconsueto) il risultato viene percepito come realizzato con levità, con disinvolta facilità, come nel bellissimo trittico Con-Fini o nel magico Foresta. Non è così. Come tutti i lavori del pensiero a cui le mani debbono obbedire, sottende lunghe ed estenuanti ore di verifiche, ripensamenti, fallimenti, sino all’opera compiuta sempre in grado di andare verso l’occhio di chi guarda.
In questa apparente semplicità, che fa sembrare queste opere realizzate di getto, sta il segreto di una sapienza ormai acquisita. Strumenti per la mente, supporti per spingere il pensiero oltre i soliti circuiti. Alice ci presenta opere che non offrono soluzioni. In questo non sono consolatorie, non sono opere che si offrono alla pigrizia di un occhio disattento, ma sono lavori pronti ad animarsi e ad offrire tracciati esplorativi a chiunque, stimolato da queste superfici scabre e sontuose, brutali e raffinate, cupe e brillanti, sappia ricomporre queste coppie antagoniste in una visione unica e armonica, perché solo così la sincerità dell’opera si fa evidente. Pur nel loro artificioso iter di produzione questi lavori parlano con voce sintetica ed immediata raccontandoci il mondo di Alice. E il mondo di Alice comprende la natura e tutte le sue infinite forme di vita.
L’artista attraverso il suo impegno, effettua un continuo percorso di conoscenza ed approfondimento che l’ha portata a liberarsi di molte paure. Quelle che avrebbero impedito alla sua arte di manifestarsi in senso compiuto e vero. Perché Alice lo sa e ne è convinta, che la Verità non sempre è bella, ma il bisogno di verità sì.
Note:
- Il Bolo d’Armenia è una argilla molto rara nella cui composizione rientra l’ossido di ferro da cui proviene la tipica colorazione rossa, ma esiste anche nero e giallo. Il colore è determinato dalle sostanze che compongono l’impasto. E’simile alle ocre ma di elevatissima purezza non contenendo alcun carbonato. E’utilizzato nelle tecniche di doratura ed argentatura. Con il fondo in Bolo Rosso si ottengono tonalità della doratura più calde, con il Bolo Giallo più pallide. Il Bolo Nero è più versatile ma prevalentemente utilizzato per l’argentatura. Va lungamente e lentamente manipolato per poterlo rendere semifluido e poterlo stendere sulle superfici da lavorare. In genere si stempera a bagnomaria e si emulsiona con colla di coniglio per farlo aderire. Esistono varianti operative ed ogni artigiano-artista ha le sue tecniche ed i suoi segreti. Al tatto è una materia fredda, untuosa, viscida, a forte potere igroscopico. Quello d’Armenia è tra i più preziosi e cari.
- Yantra : Termine sanscrito frequente in tutta la letteratura filosofico-religiosa dell’Oriente, India soprattutto. Nell’Induismo significa “strumento” cioè un qualcosa che si rivela utile, efficace, efficiente, a risolvere un problema, o comunque a dare sollievo anche solo temporaneo alla mente troppo sovraccaricata, al corpo appesantito ed affaticato. Lo Yantra dunque può essere qualsiasi cosa possa aiutare a ritrovare l’equilibrio e l’armonia. Può essere un oggetto, un simbolo, un diagramma, un segno che il soggetto sperimenta come utile. Il Mandala ad esempio è sostanzialmente un Yantra.
Pistoia – Luglio 2019